domenica 26 luglio 2015

EXPO: THE TANK, MILANO


Dopo il Mercato Metropolitano e il Langosteria Fish Bar, ho scovato un altro posticino che nasce dal fermento che avvolge Milano in concomitanza con EXPO. Bisogna dirigersi in Piazzale Lodi, dove incapperete nuovamente in un progetto temporary e di recupero urbano che ha permesso la rivalorizzazione di un’altra area dismessa, il vecchio scalo ferroviario di Porta Romana.
Sto parlando di The Tank, un vivace spazio dove originali container marittimi sono stati riadattati per ospitare arte, shopping, musica e ristorazione. Un ambiente decisamente figo!  Ce n’è per tutti i gusti e lascio a voi la sorpresa di scoprire tutte le piccole realtà che danno vita a questa new entry nella movida milanese, ma vorrei spiegarvi perché sicuramente io ci ritorno. I motivi sono sostanzialmente due.


Uno, il buon sano rock di Virgin Radio. Noi rockers sappiamo bene come scarseggino i ritrovi in cui allietarci con della buona musica e finalmente, per la gioia dei miei dirimpettai, sono riuscita a godermi al di fuori delle mura di casa i miei amati Cure, ma anche David Bowie, Depeche Mode, Police, Muse e tanti altri, tutti in un colpo solo. Scusate se è poco!


Due, le arepas del foodtruck El Caminante. Che illuminante scoperta! Quale suprema bontà! E’ bastato un solo assaggio per sviluppare una dipendenza cronica da queste croccanti focaccine di mais bianco originarie del Venezuela e farcite abbondantemente con prelibatezze nostrane di eccellente qualità. Il connubio Italia e Venezuela è idilliaco, tant’è che di arepas me ne sono pappate ben tre, una via l’altra!  Ognuna porta il nome di una città – e una zingara come la sottoscritta non può che approvare! –  così ho cominciato il mio viaggio ad Alghero con sarde impanate, caciocavallo, pesto di pomodori secchi e insalata riccia. La mia arepas preferita in assoluto, estasi pura! Mi sono poi diretta verso Lecce dove melanzane arrosto sott’olio, basilico, maggiorana, origano, datterini confit e stracciatella hanno provocato un altro momento di goloso turbamento e ho concluso in totale visibilio oltreoceano, a Caracas, con tenerissimo pollo marinato nel succo di lime e condito con avocado, pepe, maionese e senape. Mi mancano Parma e Bolzano, dove prevedo di fare tappa al più presto!




Questa Milano dell’EXPO mi piace sempre di più.

sabato 11 luglio 2015

IL MIO ITINERARIO IDEALE A SARAJEVO



La Bosnia Erzegovina è un paese meraviglioso. La sua gente, un vero crogiolo di razze e culture, è accogliente e generosa, niente e nessuno è riuscito a piegarla; la natura è rigogliosa e selvaggia, c'è tanto verde, ci sono monti, cascate, fiumi, laghi e un canyon che accompagna quasi interamente la pittoresca strada che unisce le sue due città principali; le città per l’appunto, su tutte quel gioiellino di Mostar e la capitale Sarajevo. Ed è proprio su quest’ultima che mi voglio soffermare, ma non troppo. Non troppo perché le emozioni e la magia che trasmette Sarajevo sono inspiegabili a parole, per comprenderle davvero bisogna semplicemente essere lì. Lo so che lo dico spesso, ma questa volta vale di più.


La Bascarsija, il cuore storico e culturale della città, incanta con le sue viuzze pervase dal profumo di spezie e narghilè, con i suoi colori caldi, con il ticchettio dei martelli dei fabbri che battono i metalli all’interno delle loro piccole botteghe; strega grazie alla voce avvolgente del muezzin, alle forme tonde delle moschee, contrastate dalle loro fontane ottagonali e dagli slanciati minareti; conquista con la sua vocazione multiculturale e con il suo fascino ottomano, così straordinariamente sospesa fra Oriente e Occidente, tanto da guadagnarsi il soprannome di piccola Istanbul o di Gerusalemme d’Europa.


Sarajevo fa riflettere e commuove con la sua storia, ancora vivissima e tangibile lungo la Miljacka, il fiume che divide in due la città che viene però ricongiunta grazie ai suoi numerosi ponti. E’ da qui che risulta evidente la sua singolare morfologia, di città chiusa da colline in una valle tanto stretta e tanto lunga, che ti fa davvero capire come l’assedio degli anni novanta e il lavoro dei cecchini serbi fosse tutto sommato facile. 



L’incontro più sorprendente in cui incapperete passeggiando lungo il fiume è quello con la Biblioteca Nazionale che, avvolta dalle fiamme che hanno distrutto più di due milioni di libri, manoscritti e documenti preziosi, è stata uno dei simboli delle barbarie della guerra. Questo magnifico edificio moresco, restaurato alla perfezione, è tornato ad incantare in tutto il suo splendore proprio a partire dallo scorso anno. Entrando resterete a bocca aperta ammirando il grande atrio centrale - l’unica parte al momento visitabile - la scalinata che porta al piano superiore, le eleganti vetrate, le colonne e le ricche pareti colorate ricche di richiami arabeschi. Continuando la passeggiata lungo il fiume, vi imbatterete in un altro luogo storico, il punto esatto in cui il 28 giugno del 1914 Gravilo Princip assassinò l’arciduca Francesco Ferdinando e la moglie, scatenando il pretesto per lo scoppio della prima guerra mondiale. Ecco quindi un’altra guerra strettamente legata al triste e ingiusto destino di Sarajevo.


La storia legata alla guerra in città però si respira ovunque, non solo lungo la Miljacka. Basti pensare alle ampie distese di lapidi bianche dalla forma allungata, tutte identiche, che si trovano un po’ ovunque non solo a Sarajevo, ma in tutta la Bosnia. Inevitabilmente cade l’occhio sulle date, quando entrambe presenti, ed è un colpo al cuore notare come quelle vite spezzate siano appartenute a giovanissimi che nella maggioranza dei casi non arrivavano ai 30 anni.


Il luogo forse più toccante, dove una profonda riflessione è più che obbligatoria, si trova però fuori dal centro città, nei pressi dell’aeroporto, ed è il famoso tunnel della salvezza. Questa galleria sotterranea è stata scavata nel 1993 dagli stessi assediati per collegare Sarajevo, totalmente isolata e circondata dalle armate serbe, al resto del territorio bosniaco, passando sotto l’area dell’aeroporto che era zona neutrale. Effettivamente il tunnel ha perlomeno permesso ai suoi abitanti di sopportare meglio l’assedio, consentendogli di ricevere cibo, farmaci, aiuti umanitari e materiale bellico. Il suo ingresso si trovava all’interno di una casa, al tempo abitata, la cui facciata è rimasta tale e quale alla fine della guerra, fatiscente e ancora crivellata da proiettili e granate. E’ ancora possibile percorrerne un breve tratto e l’esperienza è davvero agghiacciante ma significativa, perché si percepisce tutta la disperazione che ha portato l’essere umano a ingegnarsi per la propria salvezza. Il risultato è stato un cunicolo lungo circa 800 metri, largo meno di un metro e alto poco più di 1 metro e 50. Tra gli eroi - non si può definirli in altro modo – che hanno contribuito con le proprie mani a creare il tunnel c’è Abid, il simpatico signore che gestisce il piccolissimo negozio di souvenir e il parcheggio all’ingresso di quest’area. Una chiacchierata con lui, oltre ad essere molto piacevole quando si parla di argomenti più leggeri, è una vera e propria lezione di storia. Come tutto il viaggio in Bosnia, nel bene e nel male, questa è un’esperienza che lascia il segno. Qui ciò che più impressiona è realizzare che sono passati solo vent’anni, io ero al liceo a quel tempo e non mi vergogno ad ammettere che avevo tutt'altri ben più futili pensieri, nonostante il tutto avvenisse a pochi passi da noi, al di là di uno stretto di mare.


Per continuare il resto della giornata con decisamente più spensieratezza, vi consiglio di tornare in città, parcheggiare la vostra auto e saltare su uno dei caratteristici tram elettrici che vi conducono a Ilidza, piccolo centro a sud di Sarajevo che tra ristoranti, negozi e terme offre svariate opportunità di svago. Non è però per la sua anima commerciale che vi suggerisco di dirigervi qui, ma per il suo cuore verde. A Ilizda infatti, percorrendo un bel viale alberato di circa 4 kilometri, giungerete ad un magnifico parco, il Vrelo Bosne. Questo ampio spazio verde con i suoi ruscelli dove l’acqua scorre limpidissima e freschissima, le cascatelle, i laghetti popolati da cigni e anatre, i tanti alberi, l’erba verdissima e curatissima, è un vero incanto. Sembra un luogo da fiaba ed effettivamente non mi stupirei se da un momento all’altro un simpatico gnometto apparisse al vostro fianco! E proprio qui si trova la sorgente, una delle poche al mondo con un’accessibilità quasi totale, del fiume Bosna, il più lungo del Paese.


A questo punto è giunto il momento di recuperare le energie con l’ottima cucina bosniaca! Cari esploratori golosi, a Sarajevo, oltre che per gli occhi e per il cuore, troverete grandi soddisfazioni anche per il palato. E sì, difatti, pur mangiando molto bene in tutto il Paese, nella capitale gli stessi piatti hanno una marcia in più. Non mi sono quindi stupita quando ho scoperto che la città è ufficialmente riconosciuta come il centro gastronomico del Paese e infatti qui ho provato il meglio di tutti i piatti tipici nazionali.


Cominciando dalla colazione, ma anche per una qualsiasi pausa durante tutto l’arco della giornata, imperdibile è la Tea House del mitico Hussein. Il nome vero di questo incantevole localino è impronunciabile, ma sono sicura che non avrete difficoltà a trovarlo: dalla Piazza dei Piccioni, il cuore della Bascarsija, dovete attraversare la strada e prendere una delle vie che si inerpicano sulla collina dove si trova il noto belvedere e uno dei cimiteri più ampi e scenografici della città. Si tratta di una stradina molto ripida e particolare, ricca di negozi e localini in legno, non potete sbagliare. Arrivati alla Tea House verrete accolti dal carismatico proprietario, Hussein per l’appunto, che appena capita la vostra provenienza vi parlerà in un perfetto italiano e vi racconterà tante storie sulla sua vita e sulla sua città, facendovi appassionare ancora di più a Sarajevo e al suo popolo. Sono sicura che sarete conquistati dalla spumeggiante e profonda personalità di Hussein, così come dalla magica atmosfera orientaleggiante del locale, dove abbondano i libri che parlano della storia e delle meraviglie bosniache, tappeti e cuscini colorati, teiere e servizi di caffè dalle forme e fantasie arabeggianti, contenitori di te e infusi a vista. Al momento di ordinare avrete l’imbarazzo della scelta. A mio parere va provato tutto o quasi! Sicuramente imperdibile è il caffè bosniaco, servito alla turca, quindi nel tipico bricco in ottone dalla forma allungata dove il caffè finemente macinato viene fatto decantare nell’acqua bollente prima di essere gustato con la calma più assoluta. La degustazione si conclude con dolcissimo lokum, una specie di caramella gelatinosa sempre di origine turca. 


Molto particolari e piacevoli sono anche le acque aromatizzate dai gusti più svariati, la mia preferita è quella alla rosa. Oppure potrete scegliere tra decine di tè e tisane, ma la bevanda veramente imperdibile è ancora una volta di origine turca, il salep. Si tratta di una specie di latte caldo dalla consistenza un po’ più densa, aromatizzato alla cannella ma anche con forti sentori di vaniglia. In realtà contiene polvere di radici essiccate di orchidea, che all’interno dell’Unione Europea è una pianta protetta, quindi dalle nostre parti non avrete il piacere di sorseggiare questo nettare divino. Credetemi, è di una bontà indescrivibile e in 3 giorni a Sarajevo ne ho fatto il pieno per un anno intero! Secondo me all’interno della UE è vietato perché in realtà dentro al latte viene sciolto uno stupefacente, non polvere di orchidea! Naturalmente sto scherzando, ma di certo questa bevanda, da quanto è deliziosa, crea dipendenza. E per accompagnare queste squisite bevande potete acquistare quello che preferite in una panetteria e portarlo con voi alla Tea House per gustarvelo mentre sorseggiate la vostra pozione preferita. So che vi sembrerà strano, ma qui funziona così e io trovo che questa usanza rispecchi il cuore accogliente e l’animo generoso di questa terra.


Per pranzo vi consiglio una pausa veloce e sostanziosa a base di burek. Si tratta di una specie di torta salata dalla forma allungata o arrotolata a base di pasta fillo, una sfoglia sottilissima farcita di carne, patate, formaggio o spinaci. Anche questo prodotto da forno fa parte della tradizione gastronomica turca, ma a seguito dell’espansione ottomana si è diffuso in tutti i Balcani, tanto da essere ormai considerato uno dei piatti nazionali anche nei paesi della penisola. Il burek migliore in assoluto che abbia mai provato, e non includo solo i confini bosniaci, è quello della Buregdzinica Bosna in Bravadziluk, una via ricca di negozi e ritrovi mangerecci in piena Bascarsija. Lo so, lo so che il nome del locale è impronunciabile ma vi consiglio di appuntarvelo perché la città, ma anche la stessa via, è disseminata di locali simili pronti ad offrirvi deliziosi burek appena sfornati. Per carità, capiterete sempre bene, ma lì questa delizia raggiunge un altro livello. A prescindere dai gusti personali, tutte le varianti hanno un ripieno ricco e saporito avvolto da una sfoglia croccantissima. Naturalmente non potete lasciare il vostro burek solo soletto e, come ogni bosniaco che si rispetti, dovete accompagnarlo con un bel bicchierone di yogurt fresco dalla spiccata acidità. Una piacevole accoppiata!


Per cena non può mancare un altro piatto forte della cucina balcanica, i cevapcici. Si tratta apparentemente di semplici salsiccette cotte alla brace, servite nel somun, il pane tipico bosniaco, e accompagnate da cipolla bianca cruda finemente tritata o formaggio locale o entrambi per gli esploratori più golosi. A Sarajevo l’indirizzo giusto è la Cevabdzinica Zeljo in Kundurdziluk, sempre nell’incantevole Bascarsija. Anche in questo caso segnatevi l’indirizzo perché, nonostante a Sarajevo chiunque vi offrirà cevapcici, di migliori non ne troverete e ancora una volta non mi riferisco solo alla Bosnia. Zeljo è il re dei cevapcici e la prova, prima che nella gioia del palato, sta nella lunga fila per accaparrarsi un posto a sedere, fila che tra l’altro ho fatto con piacere perché ci ha permesso di fare amicizia con due ragazze del posto con le quali abbiamo condiviso il tavolo e pasteggiato allegramente. Tutto il piatto nel complesso è davvero eccellente, tanto che ogni suo ingrediente merita una menzione a parte. I piccoli salsicciotti di carne di manzo sono teneri, succulenti, speziati al punto giusto e grigliati alla perfezione. Sembra impossibile che un piccolo, semplice pezzettino di carne possa provocare un tale tripudio di sapori. E il delizioso somus? Un pane leggero e delicato, dalla forma larga e appiattita che durante la cottura si gonfia formando una sacca d’aria che si presta perfettamente per essere farcita a piacimento, in quanto vuota e senza mollica. Io ne ero già dipendente, infatti tutte le mattine, prima di recarmi da Hussein a sorseggiare il mio salep, mi fermavo al panificio all’angolo a prendere un somus caldo caldo, appena sfornato, tutto solo per me. Beh sposarlo con i cevapcici è estasi pura! Poi c’è la cipolla bianca cruda che ha donato quel tocco in più senza appesantire né il piatto, né, con mio grande piacere e stupore, la mia digestione. Che anche la cipolla bosniaca sia in realtà qualche sostanza proibita? Per finire dal piatto del maritozzo ho rubato un pochino di kajmak, un formaggio cremoso tipico dei Balcani dal gusto molto ricco e piacevolmente fresco ma che a mio parere copre un po’ troppo il godurioso sapore di vera brace dei cevapcici. Tanto a donarmi freschezza ci ha pensato nuovamente il mio bel bicchierone di yogurt!


Io adoro tutti i posticini che vi ho citato, non possono prescindere da una visita alla città. Si tratta di ritrovi semplici, genuini e autentici dove per pochi marchi – la conversione in euro vi farà credere di aver sbagliato i vostri conti! - e con porzioni abbondanti non solo soddisferete il vostro appetito, ma potrete davvero entrare a contatto con la gente del posto, con le loro tradizioni e con la loro cultura.
Il tour gastronomico di Sarajevo però non è ancora finito! Manca un altro locale storico della città, l’unico situato al di fuori della Bascarsija, seppure pochi passi più in là, oltre la riva opposta del fiume. Qui non vi consiglio di pasteggiare, per la cucina tipica bosniaca vi ho già indirizzato nei posti giusti, ma se desiderate bere un’ottima birra, non troverete posto migliore. Sto parlando della Sarajevska Pivara, la migliore birreria cittadina che serve le birre prodotte nell’adiacente fabbrica, la quale ricopre un ruolo cruciale nella storia di Sarajevo: fu l’unica realtà industriale a restare in attività per gran parte dell’assedio, fornendo l’acqua ai suoi cittadini che quotidianamente rischiavano la vita per rifornirsene. Dall’esterno la fabbrica è curatissima e molto scenografica, sembra quella di Willy Wonka! Ad essere magnifico è anche l’interno della birreria, su due piani e interamente in legno. Sorseggiare una delle ottime birre Sarajevsko in questo locale, dove il tempo sembra essersi fermato, è un’altra delle imperdibili esperienze offerte dalla città.


Sarajevo è magia, è poesia, è emozione pura. Sarajevo è stata un’attrazione fatale. Nessuna città mi ha mai toccato così nel profondo, e non è solo per il suo triste passato. E’ tutta lei nell’insieme ed è difficile da spiegare. Ci sarà un motivo se, nonostante sia passato quasi un anno dalla nostra visita, spesso io e il maritozzo ci troviamo a dire “Sto pensando a Sarajevo…”. Vorrà dire qualcosa se, pochi giorni dopo aver lasciato la città ma ancora in vacanza in altri luoghi ameni, entrambi, inconsapevoli di cosa stesse facendo l'altro, ci siamo ritrovati in contemporanea a navigare on-line alla ricerca di voli diretti o per la meno agevoli dal nord Italia (a titolo informativo niente da fare, o si fa scalo a Istanbul che non è né comodo, né economico, oppure, ma solo in estate, si vola su Dubrovnik o Spalato e poi ci si mette in macchina per oltre 200 km, il che è fattibile ma non certo per una toccata e fuga nel weekend).

Ah, per chi non è al passo con la storia - tanti per esperienza personale - no, a Sarajevo non c'è la guerra, è finita vent'anni fa che non è molto, ma costituisce comunque un tempo ragionevole per rinascere. E' una città sicurissima, così come tutto il Paese, andate tranquilli.

giovedì 2 luglio 2015

CHELSEA MARKET, HIGH LINE E MEATPACKING DISTRICT - NEW YORK


Rassegnatevi, da una vacanza a New York tornerete sicuramente a casa con delle lacune. Non importa se vi fermate 7, 10 o 20 giorni, complici il suo perenne fermento, le distanze e la miriade di luoghi da vivere, ci sarà sempre un posto in più che avreste potuto esplorare. Allo stesso tempo però 7 giorni sono più che sufficienti per andare alla scoperta di tutti i fondamentali e oltre, anche se non avete la resistenza e i ritmi folli miei e del maritozzo.
Considerate queste premesse, il modo migliore per approcciarsi alla Grande Mela è quello di darsi delle priorità. Vi ho già parlato qui di quello che farei se avessi a disposizione un solo giorno. Bene, il successivo mi recherei senza ombra di dubbio al Chelsea Market. Il fatto che ami alla follia il mercato non è una novità, già qui avevo espresso il mio debole per questo “ Luogo d’incontro colorato, vitale, allegro, autentico e genuino. E molto spesso pittoresco e chiassoso!”. Scusate se mi ripeto citando me stessa, ma non riesco a trovare parole più appropriate per esprimere la mia idea di mercato. Va da sé che fosse impensabile non recarmi al mercato alimentare più noto di New York. Che poi chiunque dovrebbe dedicarci almeno mezza giornata, il Chelsea Market è davvero un luogo unico. Solo il fatto che si trovi all’interno di una vecchia fabbrica di biscotti del ‘900 vi può far immaginare l’atmosfera particolare che si respira solo varcandone la soglia. Anche perché l’edificio è sì stato egregiamente riqualificato, ma senza stravolgerne la struttura originaria. Del biscottificio, che ha dato i natali ai famosi biscotti Oreo, rimangono intatte le gallerie asimmetriche e tubature, strutture d’acciaio e muratura sono a vista, inoltre al suo interno è ancora visibile il fiume che ne alimentava il mulino! Il tutto in un mix  di antico e moderno e secondo uno stile decisamente minimalista che non ti fa sembrare di essere a New York, perlomeno non in questo secolo!


Non si può restare indifferenti al fascino di un posto simile, se poi ci aggiungiamo che si tratta del principale centro gastronomico cittadino… Il Chelsea Market è indiscutibilmente il paradiso dei golosi di tutto il mondo, pieno zeppo di leccornie per tutti i gusti, in grado di accontentare qualsiasi palato. Non solo troverete cibi di varie provenienze e cucine di ogni nazionalità, ma anche negozi di ogni genere, a partire da profumatissime panetterie e invitanti pasticcerie, fino all’allegro e colorato fruttivendolo. Qui grazie alla presenza di ogni ben di Dio, potrete intraprendere un vero e proprio tour gastronomico. Il mio è cominciato da Los Tacos n°1, un autentico chiosco messicano con cucina a vista dove io e il maritozzo ci siamo concessi un aperitivo a base di tacos di pollo e nientemeno che di cactus. Delizioso il primo, non il mio genere il secondo. Il tutto è stato accompagnato da un’orzata gigante e strepitosa, omaggiata dal simpaticissimo ragazzo alla cassa appena ha appreso che era il mio compleanno. Preparata con riso, vaniglia e cannella secondo la ricetta tradizionale azteca, si è rivelata un’autentica squisitezza, di gran lunga più gustosa rispetto a qualsiasi altra orzata provata fino a quel momento.


Abbiamo poi continuato in quella che è indubbiamente la punta di diamante di tutto il mercato, l’area pescheria. Si tratta di uno spazio molto ampio suddiviso in zone differenti dove poter gustare qualsiasi tipo di pesce, rigorosamente freschissimo e servito nei modi più svariati. Giusto per citare qualche esempio, c’è il banco del sushi che viene preparato con estrema maestria proprio sotto i vostri occhi e che definirlo invitante è dir poco, c’è un fornitissimo Oyster Bar che offre naturalmente pregiatissime ostriche ma anche qualsiasi altro genere di conchigliame. Noi ci siamo fiondati sulla zona che prende il nome di Lobster Place e ci siamo deliziati con un prelibatissimo astice intero cotto al momento e con un insuperabile lobster roll. Questo è stato uno dei posti migliori dove sia mai stata in tutta la mia vita e spiegare a parole la goduria provata credo sia un tentativo vano, ma ci provo. Gli astici, provenienti dalle vicine coste del Maine, vengono scelti al banco dove sono disponibili in differenti pesature e vengono serviti con una fettina di limone e del burro fuso a parte. Il mio era tenerissimo, tanto da sciogliersi letteralmente in bocca, saporitissimo e cotto alla perfezione. Una vera e propria prelibatezza. E che dire del lobster roll, il panino all’astice diffusissimo in quel di New York? Beh, ne ho provati diversi e vi garantisco che qui troverete il migliore della città. Il pane, simile a quello utilizzato per gli hot dog ma rigorosamente artigianale, è morbido e dolce al punto giusto e contiene abbondanti pezzettoni di delizioso astice marinato nel burro fuso. Credetemi, e non è una battuta, io ogni tanto me lo sogno di notte e mi sveglio in preda a un’irrefrenabile voglia che neanche una gestante al termine della gravidanza. Il solo pensarci è una sofferenza. Tra l’altro contatti più che attendibili mi hanno confermato che il pesce migliore della Big Apple si trova proprio qui, anzi è proprio la rinomata pescheria del Chelsea Market che rifornisce gran parte dei ristoranti di Manhattan. E vi dirò di più, i prezzi sono tutt’altro che proibitivi. Ovviamente stiamo parlando di una materia prima pregiata che quindi ha un prezzo base elevato, ma vi assicuro che da noi si pagherebbe il 30% in più per lo stesso prodotto e per la stessa quantità. Se non fosse che ero molto sazia, anche perché in mattinata per cominciare alla grande i festeggiamenti per il mio compleanno avevo fatto sosta in un paio di bakery dove mi sono rifocillata a dovere, avrei continuato concedendomi una scorpacciata di pesce ben più generosa.


Convinta di aver chiuso le fauci, mi imbatto però negli assaggi della Fat Witch Bakery, specializzata in uno dei classici della pasticceria a stelle e strisce, il brownie. Non posso fare a meno di ripetermi affermando che anche questa volta mi sono trovata di fronte al migliore esemplare mai provato di questo tipo di dolce e per decretarlo è bastato un piccolo assaggio che mi ha portato all’immediato acquisto di un intero brownie arricchito con del golosissimo caramello. Mamma mia, che bontà! Il brownie non è mai stato tra i miei dolci preferiti, ma evidentemente non avevo ancora avuto il piacere di assaporarne uno come si deve, perché quello della Strega Grassa mi ha invece totalmente conquistata!


In questo modo ho concluso sul serio il mio tour gastronomico, ma non la mia visita al Chelsea Market. Al suo interno infatti potete trovare una minoranza di negozi di altro tipo, come un simpaticissimo e folkloristico lustrascarpe e botteghe di designer indipendenti che propongono abiti e gioielli che rappresentano pezzi unici e che sicuramente daranno il via a nuove mode. Insomma cari esploratori golosi, se siete a New York una visita al Chelsea Market dovete assolutamente metterla in programma, senza se e senza ma. Il mio unico rimpianto è quello di non essere riuscita a tornarci almeno una seconda volta, ma mi rincuoro pensando a quanto ho goduto con quell’unica scorpacciata!


Una volta riempito il pancino, è giunto il momento di smaltire le migliaia di calorie ingurgitate e nei dintorni ci sono almeno due ottimi modi per farlo. Innanzitutto semplicemente passeggiando per il quartiere che ospita il mercato, ovvero il caratteristico Meatpacking District. Situato nella parte sud-ovest di Manhattan dove da una parte confina con le più note zone di Chelsea e del Greenwich Village, dall’altra è bagnato dal fiume Hudson, deve il suo nome ai numerosi macelli e alle botteghe di vendita di carni che fino a non molti anni fa lo popolavano. Oggi il Meatpacking è una delle zone più in voga della Grande Mela, dove pullulano negozi di tendenza, ristoranti esclusivi e locali alla moda che rappresentano un punto di riferimento per la vita notturna della città. Nonostante ciò, questa zona mantiene una sua autenticità non solo grazie ancora alla presenza di alcuni venditori di carne all’ingrosso, ma anche grazie al fatto che la sua immagine esterna non sia stata particolarmente intaccata. Qui non ci sono grattacieli o megastore luccicanti, al contrario sulle facciate dei palazzi di pochi piani prevale il rosso del mattone e le boutique sono sì costose, ma più intime rispetto a quelle della Fifth Avenue. Non troverete colletti bianchi di corsa e stressati con la ventiquattrore in una mano e il cellulare nell’altra, ma un’atmosfera amichevole e rilassata, dove la gente si ferma per bersi un caffè o per fare uno spuntino con calma, leggendo un giornale o scambiando due chiacchiere. D’altronde questa è anche l’unicità di New York, quella di ospitare al suo interno tante realtà, diverse sia a livello estetico ed architettonico, sia per filosofia di vita.


L’altra passeggiata che vale assolutamente la pena fare una volta usciti dal Chelsea Market è quella della High Line, il primo parco sopraelevato degli Stati Uniti. Si tratta di una sorta di ponte verde sopra la città che segue i binari originari, ancora ben visibili, della West Side Line, una vecchia linea ferroviaria in disuso. Corre per oltre 2 km tra il quartiere di Chelsea e l’estremità settentrionale del West Village, passando per il Meatpacking. Ancora una volta quindi i newyorkesi stupiscono  con un perfetto esempio di rivalorizzazione, trasformando e reinventando un’infrastruttura ormai inutile e decadente e mettendola a disposizione del cittadino e del turista. Se non avete tempo o voglia di percorrerla per intero, fatene almeno un breve tratto, giusto per farvi un’idea. Tra l’altro uno dei numerosi ingressi si trova proprio a ridosso del Chelsea Market e, soprattutto durante la bella stagione, vi consiglio di accomodarvi su una delle numerose panchine disseminate lungo il percorso e di gustarvi del buon cibo immersi nel verde e ammirando suggestivi scorci di Manhattan da un’altezza di 9 metri. Io ci sono stata in pieno inverno e vi assicuro che, anche in questa stagione, due passi sulla High Line sono un obbligo. Certo, il verde sarà poco rigoglioso e sarà meglio consumare i vostri spuntini nel tepore delle mura del mercato sottostante, ma la sensazione unica di camminare sospesi tra i tetti della città, sovrastando le sue strade trafficate, resta immutata.


Ah, dimenticavo… Vi prego, con tutto il ben di Dio che offre il Chelsea Market e che ahimè difficilmente si trova entro i confini italici, evitate, come ho notato fare da molti nostri connazionali, di mettervi in fila da Giovanni Rana...