domenica 26 aprile 2015

EILEEN'S SPECIAL CHEESECAKE, NEW YORK



Che io ami la buona tavola è una verità ormai assodata. Tolta l’erba (no, non scriverò mai odi agli ortaggi a foglia verde), provo tutto e mangio quasi tutto ma ho un tallone d’Achille: la pasticceria. La amo al un punto tale che non solo provo immenso piacere nel degustare una cremosa leccornia zuccherosa, ma anche nel prepararla con le mie mani. Nella mia umile dimora l’ingresso a merendine e a dolci industriali è consentito solo nei casi di estrema emergenza ovvero quando torno da un viaggio e non ho niente di pronto per la colazione o quando quella nuova porcata sullo scaffale del supermercato  mi fa l’occhiolino, convincendomi che non posso proprio non provarla almeno una volta. Alla colazione e alla merenda infatti ci penso io, a meno che non decida di viziarmi concedendomi il lusso di saccheggiare una delle mie pasticcerie preferite. Naturalmente qualsiasi provincia italiana o remota parte dell’universo io stia esplorando, non mancherò di varcare l’ingresso in un numero inimmaginabile di dolci ritrovi per gustarmi la specialità locale in tutte le sue possibili varianti. Provate un po’ a immaginare cosa sono stata capace di fare a New York, soprattutto considerando che ho uno spiccato debole per la pasticceria anglosassone. Le pause zuccherose nella Grande Mela sono state decisamente frequenti, ho testato sul campo molte più bakery di quelle che avevo previsto, anzi potrei azzardare che ho provato più bakery io di quanto possa fare mediamente un newyorkese in tutta la sua vita! Un dolce che non mi sono fatta mai mancare è stata la cheesecake. Ho un rapporto che definirei involontariamente conflittuale con questo dolce, in quanto tendenzialmente lo amo ma nella realtà mi ritrovo spesso ad odiarlo. Mi spiego meglio: se fatto come Dio comanda è assolutamente uno dei miei dessert preferiti, peccato che sia più probabile vincere la lotteria che trovare una cheesecake meritevole di questo titolo. O è troppo acida o è troppo dolce. Oppure, errore diffusissimo, dal prepotente sapore di formaggio, che è sì il suo ingrediente principale, ma che, se tutti quanti gli ingredienti fossero stati ben miscelati e correttamente proporzionati, non si dovrebbe assolutamente percepire. Sta di fatto che per gustarmi una cheesecake da 10 e lode, beh, e non dite che pecco di modestia, la devo preparare da me. Se invece vivessi a New York potrei tranquillamente farne a meno, perché qui fanno una cheesecake in grado di far tornare in vita il capostipite della specie umana! In qualsiasi bakery da me provata, la cheesecake è stata il pezzo forte, assolutamente memorabile. Non mi sembrava vero! Forse non avrei dovuto esserne così sorpresa, visto che il dolce tipico della città è proprio la New York cheesecake, ma dopo tante delusioni, anche in luoghi dove questa torta fa parte della tradizione, diciamo che, pur essendo speranzosa, non ci avrei scommesso un penny. Beh, avrei sbagliato perché i pasticceri newyorkesi sanno come fare un’ottima cheesecake, accidenti se lo sanno! In particolare sono specializzati nella versione cotta al forno, infatti la New York cheesecake è rigorosamente “baked”. Vi assicuro quindi che con questo dolce nella Grande Mela andrete di certo a botta sicura, ma, a mio parere, se volete il top andate da Eileen Avezzano. Per me lei è la regina della cheesecake e io le giuro devozione eterna.


La sua piccola pasticceria, la “Eileen’s special cheesecake”, si trova a Nolita, un minuscolo quartiere di Lower Manhattan, incastrato tra Little Italy e Soho. Nolita infatti significa letteralmente North of Little Italy, anzi in passato era parte di Little Italy (d’altronde anche il cognome di Eileen rimanda a origini nostrane). Sappiamo però che la storica enclave italiana con il tempo si è andata sempre più riducendo, trasferendosi altrove o perché fagocitata dagli immigrati con gli occhi a mandorla. Questa zona invece si è trasformata in un quartiere alternativo di gran moda, dove giovani designer, creativi e artisti hanno aperto i loro negozi che espongono capi ed oggetti decisamente originali. Qui abbondano i caffè che, come le sue stradine acciottolate, sono prevalentemente frequentati da newyorkesi doc. Anche la Eileen’s Special Cheesecake non si trova certo nella zona più di passaggio di Manhattan, ma è facilmente raggiungibile in quanto a due passi dalla stazione metro di Spring Street, sulla linea sei. C’è inoltre da aggiungere che il locale passa piuttosto inosservato, non solo perché minuscolo ma anche perché molto semplice e spartano, volendo poco attraente. Ecco, io lo adoro anche per questo motivo. Sì, perché io amo i posti veri, autentici. Non cerco il locale fighetto, identico a Milano, come a Tokio o a Londra. Anche l’ambiente ha la sua importanza, e se mi trovo a New York, seppure nel bel mezzo di Manhattan, voglio respirare la tipica atmosfera informale della provincia americana. Da Eileen non solo è proprio così, ma sembra pure di essere rimasti fermi agli anni 70, quando la pasticceria ha aperto i battenti. 


Pur avendo quindi solo varcato la soglia della bakery, già ne sono conquistata. Mi avvicino alla vetrina dei dolci e scoppia l’amore: tante piccole cheesecake tonde, dai mille colori e dai mille gusti. Una sorpresa, non solo per l’impatto visivo, ma ancora una volta anche per la filosofia del locale. In qualsiasi altra bakery della città la cheesecake viene per lo più servita a fette, in qualunque caso le porzioni sono titaniche. Da Eileen no. Qui il tutto è servito in monoporzioni a mio parere della giusta grandezza, decisamente sottodimensionate se paragonate allo standard USA. Prediligendo da sempre le monoporzioni che trovo molto pratiche ed eleganti, ma soprattutto perché mi permettono di fare più assaggi, non posso che approvare la scelta. Allo stesso modo condivido la decisione di specializzarsi in un unico prodotto, anche se bisogna dire che da Eileen potete trovare anche altri tipi di dolci, ma con un rapporto di almeno 90 – 10 a favore delle cheesecake. Dimenticavo di aggiungere che sebbene sul posto potete consumare solo monoporzioni, potete trovare oppure ordinare  cheesecake delle dimensioni standard di una qualsiasi torta per l'asporto.


Ok, tante belle premesse, ma finalmente è arrivato il momento cruciale, quello dell’assaggio. Di fronte a una ventina di gusti, la scelta è  stata piuttosto tormentata. Francamente le avrei assaggiate tutte, ma alla fine, giusto per non farmi mancare niente, mi sono buttata su ananas, caramello salato, red velvet e cioccolato con caramello. Estasi. Una vera goduria per il palato. Base compatta, morbida ma fragrante. Ripieno soffice, vellutato, ma corposo. Nel complesso un dolce fresco e leggero di una bontà inimmaginabile. Una più buona dell’altra, ma la mia preferita è stata senza dubbio la red velvet  cheesecake che, delicatissima, si scioglieva letteralmente in bocca. Posso affermare con certezza che è stato uno dei dolci migliori che abbia provato in tutta la mia vita. Una squisitezza!


Eileen, che ho avuto il piacere di incontrare e con la quale mi sono ovviamente più che complimentata, dev'essere una maga. Da lì non me ne sarei più andata, avrei potuto continuare all’infinito. Non è che il suo tocco segreto è qualche sostanza proibita?? Boh, sta di fatto che questo localino di pochi metri quadri e meno di una decina di sgabelli, è una tappa imperdibile a New York. Lo dicono anche I numerosi articoli appesi alle pareti, tutti intenti a  celebrare la bontà di questa cheesecake. Qui c’è anche il mio omaggio, sicuramente meno autorevole ma scritto con il cuore e con le papille gustative che, ancora in festa, ringraziano.


Eileen ha proprio ragione nel definire la sua cheesecake “a treat that’s hard to beat”. 
E naturalmente “made with love”.


domenica 19 aprile 2015

LOVANIO E LO ZYTHOS BIERFESTIVAL


Qualcuno mi spiega per quale motivo il Belgio viene di norma snobbato da noi esploratori golosi? Forse le sue dimensioni ridotte lo fanno passare inosservato sulla cartina geografica? Se ne siete a conoscenza cortesemente illuminatemi perché io non lo so, ma sono certa che si tratta di un grande errore. Vi assicuro che qui ho fatto uno dei viaggi itineranti d’Europa che ricordo con maggior piacere e mi sono fatta viziare da quella che definirei la migliore cucina del centro/nord del vecchio continente.
Per questo ottimizzo il post e, oltre a portarvi nelle Fiandre alla scoperta di uno dei suoi tanti gioiellini, vi do una dritta per assaporare al meglio una delle eccellenze belga.  
Innanzitutto sappiate che le Fiandre non sono solo Brugge. E’ qui infatti che il turista medio è al massimo pronto a spingersi, facendo andata e ritorno in giornata dalla capitale. Per carità, si tratta di una cittadina meravigliosa che merita più di una toccata e fuga, ma di certo non l’unica tappa imperdibile all’interno di questa regione incantevole. Tra le tante possibilità, non dovete assolutamente tralasciare Lovanio, un piccola perla a meno di 30 km da Bruxelles, in questo caso sì tranquillamente visitabile in giornata dalla capitale alla quale è collegata, così come tutto il Belgio, ottimamente dalla rete ferroviaria.
Lovanio (se preferite Leuvan in fiammingo o Louvain in francese) è una graziosa città universitaria, per questo giovane e vitale, che può vantare veri e propri gioielli architettonici, alcuni dei quali meritatamente proclamati patrimonio dell’umanità dall’UNESCO. Due di questi si trovano in Grote Mark, piazza dalla forma triangolare e cuore “istituzionale” della città, dove spiccano il ricchissimo Stadhuis, il municipio, e l’imponente Sint Pieterskerk, la chiesa di San Pietro, entrambi capolavori del gotico fiammingo.


Vi segnalo anche la suggestiva Oude Markt, piazza acciottolata, stretta e lunga, nella quale, passeggiando per le vie di Lovanio, capiterete all’improvviso, quasi senza accorgervene. Sarete conquistati dai suoi eleganti e colorati edifici nel tipico stile fiammingo e dalla sua atmosfera conviviale e frizzante in quanto vero ritrovo della movida universitaria e locale.


Imperdibile anche una visita alla bellissima biblioteca universitaria, dove oltre alla meravigliosa e lavoratissima facciata, spicca l’imponente torre che vanta un prezioso carillon, il tutto il stile rinascimentale, manco a dirlo, d’influenza fiamminga.
Non voglio dedicare molte parole alle meraviglie architettoniche della città, sulle quali è facile trovare informazioni dettagliate in una buona guida o in rete, ma qualche riga in più voglio spenderla per l’incantevole Begijnhof.
I beghinaggi sono luoghi molto caratteristici e tranquilli, solitamente separati dal resto della città da un muro sul quale si aprono una o due porte di accesso, e sono composti da una serie di cortili o giardini sui quali si affacciano piccole abitazioni e dove non manca mai una suggestiva chiesetta. Sono strutture molto diffuse in Belgio (ogni città che ho visitato ne poteva vantare almeno uno), ma anche in Olanda e in alcune zone del nord della Francia e della Germania, dove un tempo venivano ospitate le beghine, donne laiche, spesso vedove di guerra, molto religiose che si riunivano per dedicarsi a Dio senza tuttavia prendere i voti. Io mi sono letteralmente innamorata di queste città in miniatura dal tipico stile fiammingo! Avendo visitato molti Begijnhof in Belgio e anche l’unico presente nella capitale olandese, posso affermare che quello di Lovanio (anzi sarebbe meglio dire quelli, visto che ve ne sono due, uno grande e uno piccolo, ma userò il singolare per riferirmi al maggiore dei due) oltre ad essere uno dei più estesi, è anche uno dei più belli che abbia avuto il piacere di esplorare. E’ attraversato da un canale che si districa tra le pittoresche casette in mattoni rossi, tra i giardini fioriti e le stradine lastricate. Qui erano presenti anche un convento e un’infermeria. Un luogo a dir poco incantevole! Oggi naturalmente le beghine sono scomparse e i Beghijnof sono stati riconvertiti per altri scopi, quello di Lovanio costituisce una vera e propria cittadella universitaria, essendo adibito a residenza per studenti.


I Beghijnof sono luoghi dall’importantissimo valore artistico e storico, in quanto non solo esemplificativi dell’inconfondibile architettura fiamminga, ma anche preziosa testimonianza della tradizione culturale di queste religiose indipendenti nell’Europa centro-settentrionale del tardo Medioevo. A ragione tutti i beghinaggi fiamminghi fanno parte dei siti UNESCO come patrimonio dell’umanità.


Beh, mi sembra di avervi fornito diversi ottimi motivi per recarvi a Lovanio, ma non ho finito! Un’altra ottima ragione per venire fino a qui è la rinomata birra belga. Anche la cucina belga, della quale sono rimasta più che piacevolmente colpita, è decisamente meritevole, ma di lei parleremo un’altra volta.
Dicevo la birra. Sì, perché in Belgio con la birra non si scherza. Che nessuno si azzardi a definirla una semplice bevanda! Qui la birra è storia, tradizione, cultura e una grande risorsa economica. E Lovanio è uno dei pilastri della birra belga. Non solo ha dato i natali alla bionda Stella Artois che tuttora troneggia con il suo gigantesco stabilimento, ma è anche casa di una miriade di birrifici artigianali. E forse proprio per questo, è sempre qui che si tiene il più grande evento del paese dedicato alle birre artigianali nazionali: lo Zythos Bierfestival.
Si tratta di una rassegna della birra seria, dove non si viene per ubriacarsi ma per degustare al meglio tante birre speciali, infatti sono di norma presenti oltre cento espositori che vi proporranno un vastissimo assortimento di birre artigianali belga, tra le quali verranno premiate le migliori.


Lo Zythos Bierfestival si tiene ogni anno durante l’ultimo weekend di aprile (quindi per quest’anno siete ancora in tempo!) ed è facilmente raggiungibile dalla stazione di Lovanio con un bus gratuito e molto frequente che in 10 minuti vi porterà a Brabanthal, la location che ospita l’evento. Se pernottate a Bruxelles non preoccupatevi per il rientro, i treni sono anche in questo caso molto frequenti almeno fino alla mezzanotte.
L’ingresso è gratuito e la degustazione si svolge in maniera molto semplice, previo l’acquisto di gettoni del costo di 1€ l’uno a cui corrisponde un assaggio di 10 cl. Il bicchiere, brandizzato ZBF (anche se nel 2013, quando ci sono stata io, venivano riciclati i bicchieri dell’anno precedente, datati 2012, ma, si sa, c'è la crisi cari esploratori golosi!), viene ritirato all’ingresso al costo di cauzione di 3€, che vi verranno restituiti se lo riconsegnate, altrimenti potete conservarlo come ricordo. A mio parere questo metodo è un’ottima trovata, perché vi permette di  degustare tante, ma vi assicuro proprio tante, birre differenti senza ritrovarvi a strisciare dopo il terzo brindisi. Naturalmente, pagando il giusto prezzo, potete farvi riempire il bicchiere fino all’orlo con la vostra birra preferita. Io e il maritozzo abbiamo provato ad assaggiare di tutto e di più, cercando di mantenere la lucidità necessaria per rientrare nella capitale. Ciò non ci ha impedito di divertirci, di fare nuove conoscenze e tanti cin-cin in lingue diverse e in allegria!
Ahimè, ora come allora non ricordo i nomi delle birre che ho provato, ma posso darvene un’idea dividendole fondamentalmente in tre categorie:
      - Un posto a sé lo merita una strepitosa birra ispirata agli speculoos, i biscotti alla cannella tipici del Belgio. Aroma molto intenso, che non richiamava semplicemente la nota spezia, ma che conteneva tutto il gusto aromatico e pieno con le note caramellate tipiche dei deliziosi biscottini. L’ho adorata, non so cosa darei per sorseggiarla ancora con la dovuta calma che merita!
-     - Pur sapendo che alcuni di voi storceranno il naso, una citazione spetta ad alcune birre aromatizzate alla frutta. Mi sono fatta attrarre da un birrificio che proponeva esclusivamente birre di questo tipo e non ne sono rimasta per niente delusa. La mia preferita è stata senza dubbio quella alla ciliegia.
-     - Il terzo gruppo, il più folto, è composto da quelle che sono state il filo conduttore non solo della serata, ma anche dell’intero tour belga, le mitiche birre trappiste. Quest’ultime rappresentano l’eccellenza in fatto di birra e meritano un approfondimento. 
      Una birra per potersi fregiare del titolo di trappista deve seguire un rigido disciplinare che prevede l'osservanza di lavorazioni e tecniche artigianali che spesso vengono tramandate da secoli e che si basano sull'osservanza di tre regole fondamentali:
1    1. la birra deve essere prodotta all’interno delle mura di un’abbazia trappista da parte di monaci trappisti o sotto il loro stretto controllo;
      2. il birrificio deve essere subordinato al monastero e dimostrare una cultura imprenditoriale aderente al progetto monastico;
      3. il birrificio non deve avere come obiettivo il profitto, i guadagni infatti devono servire al sostentamento dei monaci e alla manutenzione del monastero, nonché per perseguire finalità sociali e atti caritatevoli.


Dei 175 monasteri trappisti al mondo solo 10 producono birra autorizzata ad essere etichettata con il logo esagonale riportante la dicitura “Authentic Trappist Product” che individua e tutela gli autentici prodotti trappisti, tra i quali non solo birra, ma anche ad esempio formaggi, liquori e confetture. Ben 8 di questi monasteri si trovano in Belgio e producono quelle che gli intenditori definiscono tra le migliori birre al mondo: Achel, Chimay, La Trappe, Orval, Rochefort, Westvleteren, Westmalle, Engelszell
Le varie tipologie di birra trappista sono prodotte con ingredienti semplici e genuini, a testimonianza dello stretto legame dei monaci coi prodotti della terra proprio come un tempo. Queste birre sono prevalentemente non filtrate, né pastorizzate, hanno sapori e profumi intensi e strutturati che tendono a migliorare con l'invecchiamento, una consistenza corposa e sono, come se ci fosse bisogno di specificarlo, di eccellente qualità. Alcune abbazie trappiste hanno una produzione limitata per cui è spesso necessario ordinare alcune tipologie di birre, con liste di attesa anche di mesi! 
Mi raccomando, non confondete le trappiste con le birre d'abbazia.Quest'ultime nella maggioranza dei casi, non hanno più alcun legame con le abbazie di cui portano il nome, ma sono prodotte dietro la concessione di licenze rilasciate dalle abbazie stesse, delle quali sfruttano il marchio. E' anche vero che talvolta la produzione rispetta le antiche ricette monastiche, ma ciò non è sufficiente per guadagnarsi il titolo di birra trappista. 

Concludo con un'avvertenza: sappiate che dopo essere stati allo Zythos, ma anche semplicemente dopo un viaggio in terra belga, sarà difficile riabituarsi alle solite birracce industriali...

sabato 11 aprile 2015

UN’AUTENTICA NORCINERIA NELLE TERRE DI SIENA: L’ANTICA SALUMERIA SALVINI


In Toscana sono di casa. Ho passato diversi mesi in quel di Firenze per lavoro, ma soprattutto è in questa splendida regione che appena posso mi rifugio per un weekend lungo. Non c’è posto migliore a poche ore di macchina dalla Palude Padana.
Amo le sue città ricche di arte e di storia e i suoi piccoli borghi immersi in un’atmosfera di altri tempi.
Adoro correre a perdifiato nel paesaggio lunare delle Crete Senesi e vagare senza meta tra le dolci ondulature della Val d’Orcia, dove la mia fantasia galoppa selvaggia quando all’improvviso scorgo la dimora dei miei sogni, un suggestivo casolare appollaiato solitario sulla cima di un colle il cui viale di accesso è costeggiato da una lunga fila di cipressi.


E naturalmente sono totalmente schiava della sua cucina autentica e casereccia. Dopo tanti anni conosco un numero notevole di rifugi gastronomici dove mi abbandono senza ritegno ai piaceri del palato, ma tappa inevitabile per qualsiasi viandante a spasso per l’Italia centrale sono le sue rinomate norcinerie. Vi recate in terra etrusca e non fate sosta in una norcineria per una lauta merenda a base di porco? No, non potete dire di essere stati nei territori del Granducato! Perché qui l’arte della lavorazione del maiale è una cosa seria.
E oggi infatti vi porto in una norcineria senese. Ma non una qualsiasi. Una vera chicca per intenditori. Quasi un segreto, infatti non la potete conoscere se non siete del posto, a meno di una gran botta di culo! Si tratta dell’Antica Salumeria Salvini in frazione Costafabbri, alle porte di Siena. Difficilmente ci passerete per caso, ma ora che lo sapete una deviazione è d’obbligo. Ma vi raccomando, spargete la voce con moderazione perché questo è un posto toscanaccio al 100%, ancora immune dall’invasione di greggi di turisti e come tale vorrei ritrovarlo la prossima volta che ci farò visita.
Il locale è naturalmente una salumeria, ma anche una gastronomia, con una piccola sala che permette di fermarsi per degustare i prodotti in loco. Si tratta di un luogo informale ma pulito, intimo e ospitale. Di quell’ospitalità genuina e autentica della più tipica tradizione toscana. Il padrone di casa, il norcino Alessandro, vi accoglierà con la sua simpatia schietta e state certi che vi strapperà più di una grassa risata. Basti pensare che appena entrata gli chiedo se c’è un tavolo per due e ricevo per tutta risposta: “Ce li hai i soldi?”! Ci accomodiamo nella saletta e dopo poco sento urlare: “Clienteeee vieni qua!”. Risate a non finire! E così in un battibaleno si è creato un piacevole clima di allegria ed estrema familiarità, non solo con lo stesso Alessandro, ma anche con gli altri avventori, naturalmente tutti senesi doc. Sembravamo un gruppo di amici che si conoscevano da sempre. Un’atmosfera impagabile!


Rotto il ghiaccio, arriva il momento di ordinare e decidiamo di cominciare con una panzanella, piatto tipico della tradizione popolare toscana, una specie di zuppa fredda a base di pane raffermo, rigorosamente sciocco ovvero senza sale com’è d’obbligo da queste parti, pomodori, cipolle rosse e basilico. E’ un piatto contadino di recupero, fatto di ingredienti semplici ma dal gusto eccellente. Quanta freschezza, quanta genuinità  in quell’umile ciotolina di plastica! Per non parlare dei suoi colori e del suo profumo che mi hanno catapultato nell’estate nonostante fuori piovesse a dirotto! Ottimo inizio! Naturalmente ci accompagna del buon vino rosso locale, denso, corposo e intenso.


Proseguiamo con bel tagliere di salumi a cui decidiamo di aggiungere un assaggino di pecorino di Pienza (siamo o non siamo nelle terre di Siena??), ma non avanziamo richieste particolari, ci affidiamo totalmente ad Alessandro che infatti non ci deluderà.  Ed ecco lì una bella tavolozza degli insaccati più tipici della norcineria senese: tre differenti tipi di salsicce, di cui una freschissima e due secche, topini inclusi, e poi coppa, finocchiona, soppressata, capocollo e buristo, un salume povero, oggi molto difficile da trovare. Si tratta di un insaccato di carne naturalmente suina, comprendente tutte le parti della testa e anche il sangue del povero maiale. Lo so che vi è passato l’appetito, ma vi assicuro che è buonissimo! E ancora qualche bel pezzettone di caciotta freschissima, morbida e delicata, e, sorpresa, un’insalatina di soppressata tagliata a dadini, con cipolla rossa e fagiolini. Il tutto così buono è abbondante che solo più tardi mi sono resa conto - sacrilegio! - di non aver chiesto un assaggio di lardo di cinta, al quale di solito non rinuncio mai.


Ovviamente per chiudere cantucci e vin santo come se non ci fosse un domani!
Tutte le bontà che vi ho elencato, salumi compresi, sono preparate dalle manone del buon Alessandro. E’ proprio lui che macella le carni di maiale seguendo i metodi di lavorazione di un tempo.

Insomma, parlandovi dell’Antica Salumeria Salvini vi ho dato una soffiata che non dovete sprecare, ma ricordatevi che è vietato l’ingresso ai malmostosi!

venerdì 3 aprile 2015

THE BURGER MAP: MYSTIC BURGER, COMO

Care esploratrici golose, cari esploratori golosi, ho un annuncio da fare.
Squillo di trombe, rullo di tamburi: oggi inauguro la mia prima rubrica!

The Burger Map.



Diciamocelo, è necessario fare un po’ di ordine. Negli ultimi due anni le burgherie sono sbucate in ogni dove e questa invasione non accenna a fermarsi. Non solo i locali specializzati in burger continuano a moltiplicarsi a dismisura, ma ormai chiunque si occupi di ristorazione ha inserito il classico panino con il medaglione di carne nel proprio menù. Che poi, di carne… Non solo, anche di pesce, di verdure, di legumi, di tofu, di soia, di aria, di acqua e lo sa il Signore di cos’altro.
Il fenomeno mi irrita un po’. D’altronde non ho mai amato seguire le mode a tutti i costi, figuriamoci quelle culinarie. Devo però riconoscere che questa esplosione di burgherie ha perlomeno un aspetto positivo: un notevole aumento della qualità. Prima se volevo la certezza di gustarmi un buon burger mi recavo esclusivamente dal macellaio di fiducia. Difficile trovare un locale, tantomeno le numerose catene, che offrisse carne trita di prima scelta. Oggi invece, tra le innumerevoli alternative, spiccano alcune eccellenze che hanno come parole d’ordine qualità e genuinità.
 
Il Mystic Burger di Como è una di queste.
 

Ho scoperto i loro burger nell’ottobre 2013 quando il locale di Como non esisteva ancora, avrebbe infatti aperto ufficialmente i battenti due mesi dopo. I giovani gestori, mostrando notevole spirito imprenditoriale, avevano però già cominciato a darsi da fare facendo conoscere le loro deliziose creature ad eventi dedicati alla birra artigianale. Perlomeno è così che io mi sono imbattuta in loro proprio dalle mie parti, nel pavese.
Beh, i loro burger sono una vera e propria esperienza mistica! Non so se era questo l’obiettivo che si erano prefissati - considerando il nome del locale e l’aureola che appare nel logo direi di sì – ma ci sono riusciti. Io ho debuttato con quello che definirei il loro signature burger, il loro simbolo: il mitico Dionigi. Pane ai cereali antichi, burger di chianina in affumicatura celtica, stracciatella di latte al basilico, guanciale croccante e songino. L’accostamento degli ingredienti è azzeccatissimo e dà origine a qualcosa di semplicemente perfetto. Le materie prime, a chilometro zero in quanto provenienti da fornitori della zona ben esplicitati nel menù, sono eccellenti. Il pane è soffice e fragrante allo stesso tempo, tanto da sembrare appena sfornato; il burger di sua maestà chianina  è succulento, tenero, grigliato alla perfezione e ancora più gustoso grazie alla leggera affumicatura; il bacon è croccante e saporito al punto giusto; la stracciatella e il songino donano al tutto una piacevole freschezza. Con buona pace del maritozzo, io amo il Dionigi. Tanto da fare più di un pellegrinaggio in quel di Como solo per lui. Ok, ne vale la pena anche per il lago ma, che il Lario non me ne voglia, viene comunque al secondo posto.
Nel tempo ho provato anche alcuni fratelli del Dionigi come il Mountain dove i protagonisti sono la luganega di Monza e i funghi porcini e Ul Cassoeula, fuori menù ispirato al tipico piatto lombardo a base di maiale e verze. E come dimenticare Ul Pes a la Catalana, un disco di tartare di salmone, spada, tonno e merluzzo che è la fine del mondo! Anche qui si tratta di un fuori menù, ovvero una proposta che non fa parte della scelta fissa del locale. E nonostante per me burger sia sinonimo di ciccia, da buona esploratrice golosa più di una volta mi sono fatta ingolosire dalle alternative a base di pesce. Ecco quello del Mystic è decisamente il migliore burger di mare mai provato, per di più vi dirò che se la batte ad armi pare con il Dionigi! Tra l’altro, sempre parlando di fuori menù, dalla loro pagina facebook vengo spesso a scoprire proposte originali e sfiziose, come quelle a base di cavallo, agnello o coniglio. Una tentazione continua! Non so se ritenere una fortuna o un peccato che il Mystic non sia proprio dietro l’angolo!
Ah, naturalmente un signor burger deve essere accompagnato da una signora birra. E qui, che siano in bottiglia o alla spina, sono rigorosamente artigianali. Lo stesso dicasi per le bibite, proposte in bottigliette di vetro dallo stile vintage.
 

Mi sono bastati pochi minuti per riflettere e arrivare alla conclusione che è un peccato non avere Mystic Burger vicino a casa. Lo voglio qua. Voglio sposare il Dionigi.