“Se avessi a disposizione un solo giorno cosa faresti?” Questa
domanda mi è stata posta da un’amica il giorno seguente il mio rientro da New
York lo scorso dicembre. Come lei mi ha fatto notare, ho risposto subito senza
esitazioni: “Harlem, andrei ad Harlem”.
Situato indicativamente a nord di Central Park dove occupa
un’area molto estesa, Harlem non è semplicemente uno dei tanti quartieri di
Manhattan ma rappresenta una parte importante della storia di New York sotto
molteplici aspetti.
Harlem è la culla della cultura afroamericana. Un luogo da
sempre autentico e ricco di stimoli artistici e culturali. Come tutti sappiamo ad
esempio qui ha origine il Jazz, genere musicale che tra gli anni ‘20 e ‘60 ha portato
alla nascita di alcuni dei locali notturni più famosi della città. Oltre al
leggendario Apollo Theatre, tra i tanti merita di essere ricordato il Big Apple
Restaurant and Jazz Club, ora non più esistente ma dal quale pare abbia origine
il più noto appellativo attribuito alla città. Si dice infatti che, prendendo
in prestito il nome dell’allora noto
locale, furono proprio i jazzisti a battezzare la città come Grande Mela.
Harlem è la sua ricca eredità architettonica. Principalmente
risalenti tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, sia le sue eleganti e
ordinate row houses, le case a schiera spesso della caratteristica pietra
bruna, talvolta coloratissime, sia le sue splendide residenze signorili, permettono
al quartiere di vantare alcune delle strade più belle di Manhattan. E’
inevitabile abbandonarsi a un vagabondaggio senza meta nell’isolato di
Striver’s Row e farsi conquistare dalla semplice eleganza architettonica delle
sue dimore.
Harlem è il cuore spirituale dell’America nera. Assistere ad
un messa gospel in una delle tante chiese disseminate per il quartiere è
decisamente un obbligo. Una vera e propria esperienza dell’anima, una delle
migliori che New York vi potrà regalare e che io e il maritozzo ci siamo
concessi per ben due volte.
La prima, come da tradizione, di domenica mattina presso la
Metropolitan Baptist Church, la seconda presso l’Abyssinian Baptist Church la
sera della vigilia di Natale. La scelta è sempre stata casuale e affidarvi al
caso è quello che vi consiglio. Gironzolando per le strade di Harlem
incontrerete moltissime chiese e sono sicura che ovunque capiterete andrà
benone. Io e il maritozzo infatti siamo entrati alla Metropolitan, chiesa di
medie dimensioni e poco affollata, semplicemente perché la funzione sarebbe
cominciata da lì a poco, mentre abbiamo scelto l’Abyssinian, la chiesa più nota
di Harlem molto grande e gremita sia di turisti sia di persone del posto, perché
l’unica che abbiamo trovato aperta la sera della vigilia. L’esperienza è stata ugualmente
indimenticabile. Ho adorato entrambe le funzioni, che a grandi linee si
svolgono allo stesso modo, seppur con le dovute differenze che mi hanno portato
a preferire talvolta aspetti dell’una, talvolta aspetti dell’altra.
Ovunque sicuramente rimarrete affascinati dal look delle
signore che per l’occasione tireranno fuori il loro abito migliore e
sfoggeranno acconciature elaborate, spesso accompagnate da imprevedibili
cappellini! Altre figure particolari, sempre presenti sia per accogliervi e
farvi accomodare prima dell’inizio della funzione, sia per congedarvi al
termine, sono gli uscieri: simpatiche signore vestite di bianco dalla testa ai
piedi, tanto da guadagnarsi
l’appellativo di crocerossine, in un caso, eleganti e formali Ladies e Gentlemen
nell’altro. Ah, ricordatevi che giustamente non potete lasciare la chiesa prima
del termine della funzione, a meno che non desideriate essere pubblicamente cazziati
dagli uscieri e guardati in malo modo dagli altri fedeli. I tempi sono di norma
abbastanza lunghi, la funzione della domenica è durata ben 2 ore e 45 minuti!
Ma è stata talmente appassionante che non ci è pesata per nulla, se non quando un
certo languorino ha cominciato a farsi sentire! Alla vigilia, credo
semplicemente per la particolarità dell’occasione, la durata è stata limitata
ad un’ora e trenta.
L’unica e indiscussa protagonista è pero la musica Gospel,
una musica popolare caratterizzata da contenuti a tema evangelico. Gospel
infatti significa Vangelo. Non si tratta solamente di una forma musicale, ma di
una vera e propria preghiera dove tutti, pubblico e cantanti, accompagnati non
solo dall’organo ma anche dal basso e dalla batteria, sono inevitabilmente coinvolti
da una travolgente esplosione di fede e dall’anima gioiosa e allo stesso tempo
profondamente devota degli afroamericani. E’ uno spettacolo allo stato puro, di
quelli che ti toccano dentro. Mi sono ritrovata in piedi a cantare e a battere
le mani, felice ma allo stesso tempo con le lacrime agli occhi. I cori sono
stati entrambi fenomenali, ma mentre all’Abyssinian ci siamo trovati di fronte dei
professionisti con voci davvero strepitose, alla Metropolitan eravamo in
presenza di un coro che definirei più casalingo ma non per questo meno
piacevole e coinvolgente.
Estremamente appassionante è stato anche il sermone, in
particolare quello del Reverendo McDaniel della Metropolitan, un vero e proprio
showman! Più pacato l’intervento all’Abyssinian, ma azzarderei nel dire che
probabilmente la vigilia non era l’occasione giusta per una fervente polemica.
Altro momento molto emozionante, indistintamente durante
entrambe le funzioni, è stato quando è toccato ai fedeli dire la loro. Chiunque
poteva alzarsi, chiedere la parola e portare la propria testimonianza di vita e
di fede. Spesso si è trattato di storie piuttosto tristi, come la perdita di un
caro o del lavoro, ma riportate sempre con spirito speranzoso e profondamente
devoto. Davvero ammirevole.
E alla fine è arrivato anche il momento imbarazzo, quello in
cui è toccato a noi prendere parola! Ebbene sì, alla Metropolitan una simpatica
crocerossina ha brevemente intervistato uno ad uno tutti i forestieri presenti
alla funzione. Prima ci è stato gentilmente chiesto di alzarci e poi ecco lei arrivare
col microfono alla mano per porci le classiche domande di rito: “Come vi
chiamate? Da dove venite? Perché siete qui?”. A malapena il tempo di rispondere
che per tutti noi sono partiti applausi e ovazioni! All’Abyssinian invece noi
ospiti eravamo troppi, quindi ci è stato semplicemente fatto cenno di alzarci in
piedi per portarci a casa, manco a dirlo, un’altra acclamazione.
Nonostante mi sia dilungata, riversando nello scritto tutte
le emozioni che ancora porto vivissime nel cuore, mi rendo conto che assistere
ad una funzione gospel ad Harlem è un’esperienza necessariamente da vivere per
essere compresa . Ammetto infatti che le mie parole, e nemmeno quelle del più
talentuoso degli oratori, potranno mai farne percepire la magia.
Harlem è soul food. La cucina della tradizione afroamericana.
Terminata la messa, il nutrimento dello spirito non poteva che continuare con
il cibo dell’anima. E mentre la sera della vigilia siamo stati calorosamente
invitati a prendere parte al rinfresco che si teneva in una delle sale
dell’Abyssinian, brindando con sidro caldo e condividendo dolci strepitosi,
nella giornata di domenica ci siamo concessi un vero e proprio tipico pasto
soul. Una rivelazione.
Naturalmente ovunque ad Harlem troverete locali pronti a
farvi assaporare la cucina tipica del sud degli States, ma io vi consiglio
vivamente di dirigervi da Amy Ruth’s. Innanzitutto il locale è l’autentico
riflesso dello spirito afroamericano: chiassosamente allegro e colorato,
tappezzato da murales raffiguranti i ritratti delle più influenti figure di
colore della storia, della musica, dello sport e dello spettacolo che danno il
nome anche alle pietanze del menù. Cominciamo subito con del delizioso e
soffice cornbread, un pane dolce di mais, col quale veniamo omaggiati appena
prendiamo posto a sedere. Al momento dell’ordine non abbiamo avuto dubbi e
abbiamo scelto i veri classici della cucina afroamericana, pescegatto e pollo
fritti, quest’ultimo col miele e entrambi accompagnati da due contorni a
scelta, tra i quali non potevamo far mancare le mitiche patate dolci. Eravamo
indecisi se provare anche il classico waffel dal quale spesso questi piatti
sono accompagnati, ma al momento abbiamo preferito di no, anche se in realtà mi
è rimasta una gran curiosità di questo insolito abbinamento. Sarà per la
prossima volta!
Inganniamo l’attesa facendo due chiacchiere con i vicini di
tavolo, finché non arrivano i due piattoni contenenti le prelibatezze che
stavamo aspettando. Le porzioni sono tipicamente USA, vale a dire enormi! Le
immagini non rendono, ma si tratta di quattro lunghi e cicciosi pezzi di pesce
gatto e di un pollo quasi intero! Devo ammettere che ero timorosa di fronte a
quella super quantità di cibo fritto con chissà quale olio e avevo già
ipotizzato nefaste conseguenze, invece che sorpresa! Lo posso affermare con
assoluta certezza: è stato il miglior fritto della mia vita! Per niente unto, spesso
al punto giusto e croccantissimo fuori ma talmente tenero da sciogliersi in bocca
dentro. Una vera e propria goduria! E né io, né il maritozzo abbiamo avuto il
minimo problema digestivo. E’ stato semplice come mandar giù un bicchiere
d’acqua, ma decisamente più gustoso! Un fritto perfetto, tanto da farmi pensare
che non potrei trovarne di migliori Come sarebbe possibile?? Io proclamo Amy la
regina del fritto! E anche i dolci avevano un aspetto così invitante! E’ stato
struggente doverci rinunciare, ma non c’era proprio più spazio nel mio pozzo
quasi senza fondo.
Insomma, avrei ancora molto da raccontare su Harlem ma penso
e spero di avervi fornito sufficienti informazioni per farvi comprendere come un
viaggio nella Grande Mela senza dedicare almeno una giornata al suo cuore nero perda
gran parte della sua magia e del suo significato più profondo e autentico.
Amen.