Dopo quella dei burger (che tornerò a popolare presto, giuro), oggi
parto con una nuova rubrica, anzi una nuova mappa: The Pub Map.
Le public house sono un’altra mia grande passione, a cui mi dedico assiduamente
quando mi dirigo nelle due isole del nord-ovest europeo, Gran Bretagna e
Irlanda. In questi paesi il pub è il centro della vita della comunità locale, sia
che vi troviate in un piccolo borgo nel mezzo di campagne verdeggianti o in un
popoloso quartiere della Greater London. Al pub, un po’ come in tutto il mondo,
si va sicuramente per stare in compagnia degli amici e per bere numerose pinte
di birra. Lì però si beve a qualsiasi ora del giorno, specialmente dopo le 5
del pomeriggio. A me pare più l’ora della birra che quella del tè. Ricordo
ancora quando giovane fanciulla, poco esperta del mondo, lavoravo a Londra in
un ristorante situato proprio di fianco a un pub che alle 17 in punto era
gremito come il locale del momento il sabato sera, e ingenuamente mi chiedevo
“Cosa ci fa tutta sta gente a quest’ora?”. Ma non è finita, gli inglesi al pub ci vanno anche per consumare
pasti completi e per festeggiare una qualsiasi ricorrenza. Un paio di anni fa
ci pranzai il giorno di Natale e vi assicuro che ero circondata da famiglie e
coppie locali, anzi in due faticammo, con ben un mese di anticipo, a trovare un
tavolo libero, in quanto molti pub erano già fully booked! Il vero anglosassone
trascorre tutti i suoi più importanti momenti di convivialità alla public house. In
9 casi su 10 se esce a pranzo o a cena, non va al ristorante, quella è
un’eccezione, si reca al suo pub preferito. Da noi questo non succede, al
pub andiamo per bere (di sera) e al massimo sgranocchiamo qualcosa di veloce. Va da sé che, da grande sostenitrice della filosofia “voglio vivere come una persona del posto”, quando nel Regno Unito di certo non mi reco a pasteggiare nel ristorante alla moda, ma anch’io vado al pub. Che poi sia mai che ci trovo Robert Smith a sorseggiare una buona ale! Non sto sognando, qualche anno fa, in volo per la capitale inglese, il mio vicino di viaggio era un gran fortunello che una tale botta di culo ce l’ha avuta davvero. Non vi dico la mia reazione, è stato quasi necessario un atterraggio di emergenza per farmi riprendere dalla notizia! E proprio in particolare nella capitale britannica, pur tentando in ogni viaggio di scoprire qualche nuova taverna, ho ormai la mia folta schiera di ritrovi preferiti, nei quali non riesco a non fare un salto almeno per un brindisino veloce.
Uno di questi è sito in quella che è la zona più bella di Londra. E non è la mia modesta opinione, è un dato di fatto. Parlo di Hampstead, sobborgo a nord della città, più precisamente appartenente al borough di Camden e situato ai margini della zona 2. Si tratta di una zona molto curata ed elegante, ricca e benestante, dove si concentra la maggior parte della ricchezza del Regno Unito e dove si trovano alcune delle ville più costose al mondo, messe in vendite anche a più di 20 milioni di sterline! Ahinoi, alla portata di pochi, ma da sempre una delle zone più ambite della città, già in passato infatti artisti e intellettuali l’hanno eletta a loro dimora, probabilmente attratti dall’atmosfera accogliente e bohemien da piccolo villaggio isolato. Non a caso i più si riferiscono a questa zona con il termine Hampstead Village, a testimonianza anche di come Londra sia formata da diversi caratteristici borghi, inglobatesi col tempo alla città. Ancora oggi qui si viene proiettati in un’altra dimensione: un dedalo di scalinate e di viuzze strette e lastricate, negozietti d’altri tempi, vecchissimi pub, ville splendide, case chich, ordinate e ben tenute. Atmosfera e fascino tipicamente da epoca georgiana. E’ davvero un piacere passeggiare in questa zona dall’intatta essenza british, così tranquilla e vivibile, dove regna un inconsueto silenzio che fa dimenticare di essere poco distanti dal centro caotico di una grande metropoli. Merito anche del fatto di essere un’area ancora poco nota ai turisti (meglio così, ma un giorno mi dovrete spiegare perché l’essere umano medio pur popolando un pianeta così vasto, tende spesso ad andare nei soliti posti).
Ah, dimenticavo, ad Hampstead troverete anche caratteristiche chiese in pietra, alcune delle quali circondate da cimiteri sepolti dalla vegetazione. In particolare non dimenticherò facilmente la graziosa chiesetta di St. John e il suo suggestivo churchyard, il più antico rimasto intatto nella capitale, nel quale una sera d’inverno, già col buio, nonostante il maritozzo mi implorasse di non farlo, ho avuto la brillante idea di inoltrarmi. Camminando con il telefono a farmi luce per i sentierini di questo camposanto, tutto d’un tratto mi trovo di fronte a uno statuario omone. Sono prima esplosa in un urlo forte e prolungato, ho poi cominciato a ripetere “Sorry, sorry, sorry!” all’infinito e infine con il maritozzo ce la siamo svignata a gambe levate ridendo istericamente. Non prendetemi per pazza ma io sono fermamente convinta di aver avuto un incontro diciamo “spirituale”. Innanzitutto che ci faceva solo al buio, la sera di Natale, in un cimitero? La Chiesa era chiusa e lui se ne stava lì, rasente a un muro, totalmente immobile intento solo a fissarci. Non stava pregando sulla tomba di un caro defunto, per dire. Seconda cosa, vi assicuro che mi è partito un urlo da guinness dei primati, tanto che il maritozzo, che non aveva notato il nostro amico (lui, cuor di leone, stava dietro, ma d’altronde è stata mia l’idea di inoltrarmi tra le tombe con le tenebre e avreste dovuto vedere com’ero spavalda ed eccitata), sì è spaventato principalmente per le mie grida. Beh l’amico misterioso invece non ha mosso un dito e la sua espressione è rimasta identica e impassibile. Insomma anche supponendo che ci avesse visti arrivare, impossibile non fare neanche un minimo sussulto dopo un urlo del genere. Ok, con questo aneddoto mi sono sputtanata, ma alla fine è un episodio che fa esperienza e che tutto sommato ricordo con un’inquieta allegria, infatti abbiamo passato il resto della serata col mal di pancia dalle risate. E comunque la mia attrazione per le suggestive chiesette in pietra dotate di annesso churchyard non si è affievolita. Ecco, magari d’ora in poi mi ci addentrerò solo con la luce del sole…
Torniamo sulla retta via, perché non ho ancora finito di raccontarvi di questa meravigliosa parte di Londra. Eh sì, non vi ho ancora accennato a quello che è forse il simbolo di questo quartiere, Hampstead Heath, un vasto polmone verde esteso su un territorio collinare. Secondo me è riduttivo chiamarlo parco perché qui troverete boschi centenari abitati da tanti simpatici scoiattolini, prati curatissimi, lunghi sentieri tortuosi e laghetti dove i più temerari osano immergersi ma, fossi in voi, mi accontenterei al massimo di una gita in barca. Il tutto in un sali-scendi che vi condurrà alla sommità di Parliament Hill, il punto più alto di Hampsted Heath, da cui potrete godere di una splendida vista panoramica della città, dove spiccano i grattacieli della City, la cattedrale di St. Paul e, se la giornata è limpida, anche l’abbazia di Westminster. Inoltre, in mezzo a tanta natura potrete godere anche dell’arte grazie alla Kenwood House, una bellissima villa in stile neoclassico inglese, che al suo interno ospita collezioni artistiche di alto livello, con capolavori di Rembrandt, Vermeer e tanti altri.
In pratica quindi Hampstead non è altro che un incantevole paesino di collina a 15 minuti di metro da Trafalgar Square. Capito perché vi dicevo che non avevo dubbi sul fatto che fosse il quartiere più bello di Londra?
Detto questo - avrete capito che sono una chiacchierona - torniamo dov’ero partita, ovvero da una delle mie public house preferite. Forse addirittura la preferita, ma è difficile scegliere, sicuramente nella mia top 3. The Holly Bush. Mi ci sono imbattuta per caso perché, nonostante si trovi a pochi passi dalla fermata metro di Hampstead, questo caratteristico pub è nascosto nel cuore delle sue labirintiche stradine. Me lo sono inaspettatamente trovato davanti dopo una piccola curva, in una zona residenziale dove non ti aspetteresti proprio di trovarlo, e invece eccolo apparire a sorpresa. E’ stato amore a prima vista. The Holly Bush rispecchia appieno la mia idea del tipico pub inglese di campagna. Già dall’esterno lo troverete delizioso e curato, con la sua facciata bianca e le finestre ornate di fiori anche in pieno inverno. Se ne sta lì solitario, in una location incantevole. Impossibile non desiderare di entrare, così ne varco la soglia e ottengo subito la conferma di aver trovato un posto speciale. Pavimenti e pareti in legno infondono un’atmosfera calda e intima che mi fa sentire ben accolta e mi invoglia a fermarmi. Il pub è disposto su due piani, conta numerose salette ed ospita un vero camino. Si respira tanta tradizione e non mi stupisco nello scoprire che queste mura contano più di 200 anni. Non mi sorprende neppure sapere che qui sono di casa il mio registra preferito ,Tim Burton, e la sua adorabile consorte. Ce li vedo proprio, si respira una magia che gli si addice!
Dopo questa prima volta ne sono seguite tante altre perché non solo qui si bevono ottime birre, ma si mangia anche divinamente. Il locale appartiene alla Fuller’s, il pluripremiato birrificio londinese, che possiede circa 400 pub sparsi in tutto il sud dell’Inghilterra. Il fiore all’occhiello della loro vasta gamma di ale è la London Pride, una bitter dall’intenso colore dorato, una corposità media, profumo luppolato e maltato e dal sentore leggero ma inevitabilmente amaro, come ogni ale che si rispetti. Io amo molto anche la loro London Porter, una birra scura, dal profumo e sapore intensi che richiamano un mix di caramello , caffè e cioccolato, gusto amaro e con un leggero sentore maltato. Ottime birre quindi, ma, diciamocelo, non è che in territorio inglese sia così difficile incappare in deliziose pinte. Il bello è che qui troverete anche un’ottima cucina tradizionale, talvolta rivista in maniera sfiziosa. Premesso che in generale non tollero sentir dire che la cucina inglese è pessima. Non è vero, io conosco tanti pub dove si mangia molto bene, così come ne conosco altri dove succede il contrario, un po’ come avviene in tutto il mondo. Ecco, sicuramente la tradizione culinaria britannica non è particolarmente dietetica, ma ciò non significa che non si tratti di prodotti di buon gusto e di qualità. Beh, all’Holly Bush non solo si mangiano ottime pietanze della tradizione anglosassone, qui la cucina locale è proprio ad un altro livello. Ottime pie, di solito però presenti in non più di due varianti, ed eccellente carne. Infatti è qui che solitamente mi rifugio per gustarmi in santa pace il mio Sunday Roast, rituale domenicale irrinunciabile per i londinesi e non solo. Per chi non lo sapesse, il Sunday Roast è un piatto di carne arrosto accompagnato da un contorno di patate ed altre verdure, il tutto annaffiato da abbondante gravy, salsa diffusissima nei paesi anglosassoni solitamente ottenuta dal fondo di cottura della carne, e spesso accompagnato da un bel Yorkshire pudding, una specie di bocconcino di pastella che per gli inglesi funge da sostituto del pane. Quello dell’Holly Bush è decisamente il mio Sunday Roast preferito. E’ sempre abbondante, saporito e, cosa non scontata, sostanzioso ma mai pesante o indigesto. Oltretutto ogni volta che vado, altro aspetto da non sottovalutare, trovo sempre una proposta diversa sia per il tipo di carne servita, sia per quanto riguarda l’accompagnamento. Unico difetto del locale è che i prezzi sono leggermente più cari della media, ma considerata la qualità delle pietanze e la location non ho dubbi nel dire che ne vale la pena.
Cheers and burp!
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